La solitudine dell'uno

Foto di Engin_Akyurt

Aveva sempre detestato i cambiamenti, persino le sorprese tendevano a irritarlo ed era così da quando aveva diciassette anni.
La prima brutta sorpresa fu beccare il suo migliore amico a farsi la sua ragazza. Il primo cambiamento: scoprire che il suo migliore amico si scopava la sua ragazza sentendone i pensieri.
Uno schifo.
L'acido gli aveva graffiato la gola, seguito dal senso di nausea nell'apprendere di essere considerato un coglione, a cui era divertente farla sotto il naso per gioco, niente di più. Quei pensieri gli rimbombarono nella testa per ore, insieme a mille altri non suoi, che erano rimasti imbrigliati in una rete intessuta di rabbia e apatia.
Non capiva, non a quel tempo almeno.
Il pomeriggio, invece di dedicarsi alla traduzione di latino, che Marco gli avrebbe chiesto di copiare la mattina seguente come d'abitudine, li raggiunse sull'argine e restò a fissarli fino a quando non si accorsero di lui. Non una parola, solo i loro occhi a specchiarsi nel suo freddo disprezzo.
Lo squillo del cellulare strappò Luca dai ricordi e dall'orizzonte in cui si era perso. Rispose senza guardare il display.
«Ciao Katia.»
La sua efficiente segretaria, lesbica. L'aveva scelta apposta per non doversi sorbire fantasie su di lui; in compenso non era male gustarsi quelle che di tanto in tanto aveva su qualche collega. Un sorrisetto divertito gli si dipinse sul volto, mentre lei gli rammentava gli appuntamenti.
Con gli anni aveva imparato a gestire la sua particolare dote, riducendo le emicranie ed evitando, quando possibile, i luoghi particolarmente affollati. Purtroppo, stavolta non poteva defilarsi, né delegare il lavoro: la trattativa richiedeva la presenza del presidente della Visual Design S.p.A.
Sbuffò e rientrò in casa per prepararsi.
Arrivò in centro con un leggero anticipo e si fermò davanti l'ingresso del grattacielo, lasciando che la gente gli scivolasse accanto come una marea informe, assieme ai loro pensieri, seppur qualcuno facesse capolino nella sua testa insistente. Faticava a escludere quelli rivolti direttamente a lui, dalle note vogliose di alcune donne, vuoi per l'aspetto, vuoi per il profumo di soldi che fiutavano come cani da tartufo, che le invidie principalmente maschili per i medesimi motivi.
"Non è carino leggere nella mente altrui."
Parole che lo trafissero con una fitta alle tempie. Scosse la testa e si guardò intorno, eppure nessuno sembrava avergli parlato.
"Sorpreso?"
Di nuovo, però stavolta l'aveva definita come una voce femminile.
«Ma che diavolo...»
"Il diavolo non centra."
Una risata sprezzante e compiaciuta lo pervase, anzi, gli inondò il cervello.
"Forza campione, sali. Ti sto aspettando e non sopporto i ritardatari."
Luca serrò la mascella contrariato. Non capiva cosa stava succedendo, ma era un cambiamento, qualcosa di fuori dall'ordinario nel suo piccolo mondo straordinario.
Raggiunse l'ultimo piano, dove fu accolto da un uomo alto e ben piazzato, coi capelli corti, castani, e gli occhi ambrati. Sembrava più un buttafuori che non un segretario, compresi i modi asciutti con cui lo accompagnò all'ufficio del direttore generale della multinazionale.
«Scusi, ma non dovremmo andare nella sala convegni?» gli chiese.
«No.»
Non un pensiero, una riflessione, un dubbio e Luca si trovò a domandarsi se non fosse un automa. Venne fatto accomodare nella grande stanza, fissando lo schienale della poltrona di pelle nera dietro la scrivania, anch'essa in legno scuro laccato, probabilmente in ebano, su cui sembrava non fosse stato mai poggiato neppure un foglio. Uno specchio nero perfetto e immacolato, alle cui spalle si stagliava la parete a vetri. Un profumo intenso e particolare impregnava l'aria, dolce e fresco; ne individuò senza problemi l'origine: due grandi piante di frangipane agli angoli della vetrata. I candidi fiori a stella con il loro cuore giallo spiccavano in modo assurdo nell'ambiente, pur senza stonare, gli trasmisero un senso di voluta inadeguatezza.
«Unici, non inadeguati.» intervenne una voce calda e suadente.
La poltrona roteò presentandogli una donna dalla carnagione di porcellana, che prendeva forma in due prosperosi seni e un viso serafico poco sopra, con labbra carnose color ciliegia, occhi felini profilati di nero a mettere in risalto il colore d'un celeste particolarmente intenso. Un quadro assurdo incorniciato da lunghi capelli corvini.
«Deluso
La domanda lo ridestò, lasciandolo comunque interdetto per un istante, quanto gli occorse per rendersi conto che era lei ad avergli parlato quando era in strada. La scrutò diffidente, affilando lo sguardo e concentrandosi per carpirle qualche informazione.
La donna sollevò la mano e mosse l'indice come il pendolo d'un orologio.
«Sorpreso, direi.» le rispose atono.
«E a te non piacciono le sorprese, giusto?»
«Non ci sono abituato.»
«Giustamente.» gli sorrise con un fare gentile, che tuttavia non celava una nota di superbia nello sguardo.
«Vediamo se ho capito: io non posso leggere nella tua mente, ma tu hai libero accesso alla mia. Non è molto equa la cosa.»
Si avvicinò con passo lento al tavolo, cercando di ostentare sicurezza.
«Il tuo primeggiare negli studi, ai concorsi, tra i colleghi è stato forse equo?»
«Touché.» ribatté accomodandosi di fronte alla sconosciuta.
«Molto lieta di fare la tua conoscenza, io sono Heljä Conti.»
«Piacere mio.»
«Sei bravo a mentire.» ridacchiò lei divertita.
«Andrà avanti ancora molto questo show
«Dipende da te.» chiarì Heljä protendendosi in avanti.
Poggiò i gomiti sul ripiano, esibendo le esili braccia e intrecciando le dita davanti alla bocca.
«Non sono qui per lavoro, deduco.»
«Certo che sì,» replicò prontamente «non scelgo certo a caso i miei partner.»
«Infatti non sapevo che il direttore generale fosse una donna.»
«Mi piace spiazzare gli altri.»
«A me no.» sottolineò secco Luca, incrociando le braccia al petto.
«Suvvia, non metterti subito sulla difensiva.» gli disse alzandosi e dirigendosi verso il vetro.
Gli dava di nuovo le spalle e ciò lo irritava, lo sapeva anche lei per cui lo faceva apposta. Ciononostante, il tailleur che le fasciava il corpo la rendeva abbastanza sexy definendone i glutei in modo piccante, come se gli facessero l’occhiolino da sotto la giacca. Sospirò, dato che ora lei sapeva anche questo.
«Abitudine e pratica.» lo interruppe.
«Cosa?»
«Schermarsi, campione. Sei bravo a leggere nella mente, te la cavi a isolare i flussi da te, però non sei bravo a schermarti, così diventi a tua volta predabile.»
«Sarei, dunque, la tua preda?»
L’idea lo infastidiva, non ne capiva la ragione, ma era come se ne fosse addirittura offeso.
«Queste sono le regole del gioco: prede e predatori. Cosa vuoi essere?»
«Sai già la risposta.» replicò a denti stretti.
«Vuoi imparare?»
La domanda lo spiazzò. Heljä si voltò e lo guardò con aria di sfida e lui reagì scattando in piedi. La raggiunse per fronteggiarla faccia a faccia, una spanna di distanza li separava e un brivido gli risalì lungo la schiena.
«Piantala di giocare al gatto col topo, io non sono un topo e non mi lascio fregare tanto facilmente.» le sibilò contro.
«Ti sto offrendo una possibilità, probabilmente l’unica della tua vita, per diventare unico e non sentirti più perennemente fuori posto.»
La proposta era simile a un sussurro, un nastro di seta che pareva volerlo avvolgere, stringere, il problema era non sapere se per stritolarlo o per cullarlo in uno strano abbraccio.
«E tu cosa ci guadagneresti?»
«Hai bisogno di leggermi la mente per capirlo?»
«I pensieri hanno il pregio di essere più sinceri delle labbra da cui escono.»
Fu come se un pesante drappo di velluto crollasse davanti a lui, ai suoi piedi e del tutto inaspettatamente. La schermatura di cui parlava era reale e ora non c’era più, consentendogli di percepirla in tutta la sua essenza con una forza disarmante ed eccitante, per la fragilità che un solo, semplice pensiero rivelava: solitudine.
«Soltanto questo?» le domandò scoprendo in sé un senso di dolcezza e condivisione dimenticati.
«Essere unici e essere soli non è divertente.»
Si mosse per istinto, aveva persino dimenticato cosa volesse dire abituato a prevedere e ponderare tutto, e si ritrovò con la mano sulla guancia di Heljä.
«E poi cosa succederà?»
«Non lo so,» gli disse candidamente «non sono una veggente, leggo solo nella mente.»
«Se è per quello ci parli anche.»
«Perché sei come me.»
Non ebbe il tempo di sondare le sue intenzione, come abbagliato da un astro splendente che rifulge in una notte senza luna, sentì solo le labbra calde di lei premere sulle proprie.
Forse, per una volta, il cambiamento non era poi tanto male. La strinse a sé, finché non si rammentò di quel maledetto pomeriggio di venti anni prima.
«Tu mi insegnerai tutto, ma se mi tradisci, giuro che ti porterò via tutto ciò che hai.» le sussurrò sfiorandole l’orecchio con la lingua.
«Vale lo stesso per te.» gli rispose mordendogli il labbro inferiore.
«Affare concluso.» sogghignò spingendola verso la scrivania «Sicura di non essere una veggente?»
«Sicurissima.»
«Allora sei davvero un’abile calcolatrice.»
«Perché?»
«Leggilo nella mia mente.» le disse sbottonandole la giacca e lanciando un’occhiata al ripiano sgombro da qualsiasi impedimento.

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