Amanti dannati

Il frastuono della città era solo un ricordo ormai, un lontano eco nella mia mente, che si perdeva nel riflesso di una pallida luna.
«A cosa stai pensando?»
La voce calda e profonda di Sebastiano mi riportò alla realtà con sensualità. Un brivido mi risalì la schiena, mentre lasciava scorrere delicatamente i petali di una rosa lungo il mio braccio. Restai a guardare la sua immagine riflessa nel vetro come qualcosa di irreale, ma in fondo lo era.
«Sarà mai qualcosa più di attimi rubati e baci proibiti?» gli chiesi con un filo di voce, chinando il capo.
Cercai di respirare a fondo e di trattenere le lacrime: non volevo piangere di nuovo. Eppure ogni volta era più difficile e il pensiero potesse essere l'ultima era sempre più straziante.
«Cosa vorresti che facessi?» mi sussurrò sfiorandomi l'orecchio.
«Non lo so.»
«Non mentire, Sara.»
«Potresti almeno fingere di non leggermi come fossi un libro aperto.»
Le sua bocca scorse il mio collo e con l'altro braccio mi cinse la vita, stringendomi a sé con forza.
«Credevo non fosse più un problema da quando ti ho detto tutto.»
«Non è un problema, ma mi fa sentire una stupida, nuda e indifesa alla tua mercé.» ammisi sinceramente e le sue labbra mi solleticarono, tendendosi in un sorriso.
«Tra poco lo sarai, non temere.»
Si divertiva a giocare con me, con le mie fragilità prettamente umane, tuttavia erano proprio quelle ad averlo spinto da me e a continuare riportarlo tra le mie braccia.
Un'auto solitaria attraversò il ponte, lasciando una scia di luce che fece sparire il riflesso di Sebastiano: una fitta al cuore, dolorosa, gli fece perdere un battito, costringendomi a trattenere il fiato. Con un movimento deciso mi voltò, spingendomi contro la finestra, e mi specchiai nelle sue iridi giallo oro. Schiusi le labbra a quello spettacolo, certa che non mi sarei mai abituata all'immensa bellezza della loro luce.
«Io dovevo starti accanto e guidarti, affinché non cadessi in tentazione, invece sei diventata il mio peccato.» mi sibilò contro a denti stretti, fermo a pochi centimetri dalla mia faccia «Cosa vorresti che facessi?»
«Che mi amassi.»
«Già lo faccio!»
Si avventò sulla mia bocca affamato e rabbioso, come nessuno dipingerebbe mai una creatura del genere, così perfetto, seppur condannato a servire, privo della libertà di amare, odiare, di vivere una qualsiasi emozione che non sia stata programmata per lui.
«Non compatirmi, donna.» mi disse con tono sommesso, lasciando cadere a terra il mio vestito.
Di nuovo mi accarezzò con quella maledetta rosa bianca, che doveva essere simbolo di purezza: la sua, la mia, del nostro legame, che non avrebbe mai dovuto consumarsi nel piacere della carne. La passò sul collo e poi sul petto, tra i seni, sul ventre, per sfilare infine sulla mia coscia ed essere gettata sul pavimento. Il suo corpo caldo premeva sul mio e l'aria si era fatta elettrica, la flebile luce della lampada sul comodino sfarfallò.
«Non esiste un solo motivo per cui un essere umano debba avere pietà di me!»
«Non è pietà, è amore.» gli risposi con tenerezza, portando le mani sulle sue braccia, che avrebbero potuto spezzare le mie ossa come grissini.
«Quello che tu vuoi scatenerebbe le ire dei Generali, condannando te alla morte e me a un'eterna tortura.»
«Non posso non desiderare di stare con te, perdonami.»
Mi nascosi sul suo petto per piangere.
Alla fine ero solo una debole ragazza di provincia, cosa avrebbe potuto aspettarsi da me?
Inspirò affondando la faccia tra i miei capelli, abbracciandomi.
«Vorresti stare con un cane randagio braccato dai lupi?» mi domandò con dolcezza.
Mi asciugai le guance, esitando però, ancora preda della vergogna che mi impediva di confrontarmi col suo sguardo.
«Con te andrei ovunque, anche incontro alla morte.»
«Hai paura di non vedermi più, ma non di morire. Non ha senso.»
«Tu non puoi capire, temo.»
«Per te è questo l'amore?»
«Sì.» dissi con sicurezza, sollevando gli occhi per incrociare i suoi.
«Allora ciò che provo io, cos'è?»
«Saresti disposto a essere cacciato per me?»
Mi fissò a lungo e quegli occhi dorati avrebbero fatto tremare qualsiasi uomo nella loro angelica freddezza, incastonati in un'algida perfezione serafica e imperscrutabile.
Arretrò d'un passo e capii di aver sbagliato: un angelo che rinuncia a Dio per me è pura follia.
Sarei stata forte stavolta, non avrei strisciato ai suoi piedi e non lo avrei pregato di nuovo di tornare da me. Lo avevo già fatto e non mi sarei umiliata ancora; anche se ero soltanto un misero essere umano ai suoi occhi, poco più di una formica, avevo una dignità, dannazione! Un'attesa che mi sembrò interminabile e che non avrei saputo quantificare, tuttavia non pareva intenzionato a parlare.
Alzò le braccia portando le mani dietro il collo, armeggiando con la treccia di cuoio che gli si attorcigliava attorno.
«Sette nodi e nove giri per ricordarci che siamo legati al nostro creatore e a lui soltanto, in assoluta fedeltà, devozione e amore.» disse guardando a terra «Io li sciolgo spezzando la perfezione dei Cieli, siglando la mia condanna nella caduta, perché amo una donna quanto amo mio Padre.»
Era come se stesse recitando un giuramento ed ebbi l'impressione che non lo stesso facendo solamente per me, ma che la sua voce ferma e risoluta volesse risuonare nel Paradiso stesso.
«Perché di lei desidero il cuore, l'anima e il corpo.»
Il sigillo scivolò tra le dita del mio angelo, lasciandomi frastornata, interdetta per qualcosa che avevo a lungo sognato in questi quattro anni e in cui, forse, non avevo avuto il coraggio e l'ardire di credere veramente.
Con uno scatto mi afferrò il polso e mi trasse a sé, mentre un fuoco avvampava nei suoi occhi, nel suo corpo che quasi scottava.
«Questo è amore?» tuonò.
La sua voce vibrò fin nelle mie ossa, togliendomi il fiato, e potei solo annuire.
«Hai avuto ciò che volevi e ora sarò io a prendermi tutto di te, notte dopo notte, fino a quando non ci faranno a pezzi.»
Il suo sorriso si fece tagliente e il suo viso rivelò l'intima natura di Uriel: estrema e guerriera, ora dannata e libera di sperimentare ogni sfumatura del suo essere... E lo avrebbe fatto con me.

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