Il Custode
Il
giorno volgeva al termine, il crepuscolo vedeva finalmente la fine degli
scontri sulla piana ai piedi del monte sacro e Khaen risaliva il pendio ormai
solo. Avevano fermato l’avanzata degli uomini dell’ovest a caro prezzo, ma non
importava: tutto ciò che contava era aver protetto il loro tesoro. A quello miravano,
ignari che fosse qualcosa che non poteva essere rubato, ma solo profanato e
distrutto. Non lo avrebbe mai permesso, aveva prestato fede al suo giuramento e
ora si trascinava lungo il pendio a fatica, la spada affondava nel terreno
umido sorreggendolo, perché voleva vederlo un’ultima volta. Sollevò lo sguardo,
il viso coperto di terra e sangue, quello dei nemici e il proprio, l’occhio
destro era gonfio e la palpebra quasi completamente chiusa, con una profonda
ferita sulla tempia che non smetteva di sanguinare, tingendo di rosso le rocce
sempre più vicine. La morte lo aveva sempre accompagnato e la sentì camminare
al suo fianco anche in quell’ultimo viaggio. Sorrise pensando che, forse, in
fondo lo aveva perfino aiutato a salire: una mano fredda che lo sospingeva,
quando ormai non ce la faceva più. Le ginocchia cedettero ai piedi del primo
spuntone roccioso e si ritrovò a stringere l’elsa con entrambe le mani, finendo
con l’abbandonarsi al suolo. Ogni respiro era una fitta lancinante, nonostante
ciò, nella sua mente ripercorreva i giorni dell’addestramento, i salti tra le
creste e gli ordini: “schiva, gira, para, affonda! Devi essere inafferrabile
come un’ombra.”.
Riuscì
a rimettersi a carponi, ansimante.
«Un’ombra
che uccide.» mormorò, trascinandosi avanti, con le dita ad artigliare il
terreno in cerca della forza per arrivare ai piedi della Grande Madre.
Quand’era
un bambino ammirava il prodigio della natura, che manteneva quella punta
diritta verso il cielo, salda, nonostante l’aspetto precario. “Magia”, gli
diceva il nonno, “È la magia della vita a sorreggerla.” e lui gli aveva creduto
tanto da votarsi a lei, da dedicarle tutta la sua esistenza. Era vero, l’aveva
vista coi suoi occhi, l’aveva sentita, aveva giurato e aveva adempiuto al suo
dovere: ma chi l’avrebbe protetta adesso?
Riuscì
a sedersi ai piedi della Grande Madre e poteva rivedere i suoi compagni, i suoi
amici, ancora intenti ad allenarsi, così giovani e forti, sorridevano,
ridevano. Ora lo attendevano, lo avevano preceduto, però era solo questione di
tempo, di minuti, solo qualche respiro ancora e uno sguardo a quella punta
divina: non chiedeva altro. Socchiuse gli occhi cercando di inspirare a fondo,
mentre i polmoni si riempivano d’aria, era come se le costole gli si piantassero
ancor più a fondo e il braccio lasciò che l’arma si poggiasse al corpo, con l’impugnatura
a premere sulla spalla per ricordargli d’essere ancora vivo.
Sollevò
la palpebra che ancora reagiva al suo volere e credette di sognare,
ritrovandosi a fissare la figura che avanzava verso di lui.
«Mia
Signora…»
Era
lei, gli aveva concesso di poterla ammirare prima della fine, maestosa e
splendente come la prima volta: la pelle col rosa più delicato dell’aurora, i
capelli candidi come la neve, un abito verde che pareva impalpabile e diveniva
erba nell’accarezzare il terreno, mentre sulle sue forme perfette era come la
più preziosa delle stoffe, se mai l’uomo avesse potuto tessere una simile magia.
D’improvviso
il cuore gli si riempì di gioia, tanto profonda da sentire le lacrime
inumidirgli gli occhi, senza trovare però possibilità di bagnargli il viso: non
se lo sarebbe concesso neppure in punto di morte.
Si
fissò sugli occhi di lei, che aveva imparato essere uno specchio del suo
sentire e vi lesse tranquillità, ma anche tristezza, in un grigio azzurro che
preannunciava una leggera pioggia primaverile.
«Hai
mantenuto la tua promessa.» gli disse e la sua voce risuonò in lui come la più
dolce delle melodie, capace di lenire persino il dolore che mordeva feroce.
«Lo
abbiamo fatto tutti.»
«Tutti
i miei figli, quelli che più ho amato e a cui donerò finalmente la pace.»
La
sua vicinanza riempiva l’aria col profumo di fiori e di pioggia, fresca e
rinfrancante; gli occorse qualche istante per rendersi conto che aveva davvero
iniziato a piovere, giacché quelle gocce bagnavano solo lui.
«E
adesso?» le chiese, costretto a voltarsi per tossire e sputare sangue, non
volendo mostrarsi a lei in tal modo.
«Laverò
il loro sangue, l’accoglierò nella terra e per ciascuno di loro nascerà un
fiore in quel campo, sicché non siano mai dimenticati.»
Khaen
abbandonò di nuovo la schiena sulla roccia rilassandosi, nonostante tutto.
«Sì,
mi piace.» sospirò sorridendo «Ma chi ti proteggerà ora, che tutte le ombre
sono morte?»
«Inafferrabili
come ombre, Khaen, ma voi non siete mai stati ombre.» rispose tendendogli una mano.
Lui
la guardò, poi abbassò lo sguardo sulla propria mano, sporca e insanguinata,
rendendole un cenno di diniego: non poteva insudiciarla.
«Non
temere, arriveranno nuovi guerrieri, nuovi sacerdoti, e questo luogo resterà
custodito dai più fedeli.»
«Sì,
nuovi figli animeranno questo posto.» convenne rincuorato.
«Hai
donato a me la tua intera vita, vieni.» lo esortò affinché prendesse la sua
mano, leggendo le sue esitazioni, conoscendo ogni piega della sua anima «La tua
infanzia, i tuoi anni migliori, la tua forza, il tuo corpo e il tuo cuore. Poche
volte ti sei allontanato da qui, poco hai conosciuto della vita di un uomo
comune, molto meno di altri, seppur devoti.»
«Una
scelta che non rimpiango.»
Avrebbe
voluto sorriderle ancora, ma era troppo stanco, sentiva le ultime forze
scivolare via troppo velocemente, quando avrebbe desiderato restare con lei qualche
altro istante, ammirarla fino all’ultimo respiro, che però sembrava troppo
vicino adesso.
«Lo
so.» sottolineò radiosa avvicinando la mano «Vieni.»
Neppure
Khaen avrebbe saputo dire come, eppure trovò le forze per sollevare il braccio
e tendere la mano libera verso quella di lei, tremante, stremato, fino a sfiorarne
le dita. Un istante soltanto, in cui pensò che la sua pelle era ancor più
morbida di quanto immaginava, e sentì tutto il corpo stretto in un abbraccio
caldo, accogliente, fatto d’amore.
«Regalerai
un fiore anche a me?» le sussurrò.
«No,
a te dono la vita, sicché tu possa essere il Custode nei tempi che verranno. Un
giorno incontrerai la morte, quando lascerò questo luogo, e quel giorno il
cielo piangerà per te, lacrime salate.»
Non
aveva mai rimpianto la sua scelta e ora si ritrovava a pensare che la
ricompensa era ben più grande del sacrificio fatto: non importava per quanto
avrebbe dovuto combattere ancora, lo avrebbe fatto in eterno per proteggere
lei, la sua dea, la Grande Madre e, in fondo, la vita stessa, affinché il cielo
non dovesse piangere mai quelle lacrime di morte.
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