Il sogno

Camminava lungo il sentiero, inoltrandosi nel bosco, e la pallida luce della luna diventava più flebile a ogni passo. Il cuore le martellava nel petto, restituendole una sensazione dapprima fastidiosa, poi dolorosa: paura. La conosceva bene quella compagna infingarda, sempre in agguato e pronta a mordere feroce nei momenti meno opportuni. Il grido acuto e stridulo di una civetta squarciò il silenzio irreale in cui era immersa, strappandole un verso trattenuto a stento, mentre sobbalzò guardandosi attorno smarrita.
«È un sogno, è soltanto un sogno.» mormorò.
Abbassò lo sguardo verso le mani: erano normali, erano le sue, con le unghie mangiucchiate e lo smalto viola sbeccato, e la rosa nera tatuata su polso, il cui ricamo tribale scendeva fino a lambirle le nocche.
Quando un sogno la inquietava, cercava di guardarsi le mani per prenderne il controllo, per trasformarlo in un sogno lucido, affinché divenisse solo un’avventura partorita dalla sua mente, che non potesse farle male. Spostò l’attenzione sul vestito nero di pizzo e chiffon che indossava, storcendo un po’ il naso; non le piaceva, era troppo corto e lei viveva sforzandosi di passare inosservata, voleva essere un’ombra che sfilava tra la gente per evitarne le attenzioni, gli sguardi, i pensieri. Nonostante ciò, non riuscì a modificare quel dettaglio e la cosa la indispettì. Sbuffò e riprese a camminare. L’erba era fresca, la poteva sentire sotto i piedi nudi, una sensazione piacevole, almeno per lei che adorava camminare in giardino scalza.
Un suono lontano la strappò ai suoi pensieri, uno sciabordio vivace che preannunciava la presenza di un corso d’acqua, ipotizzò, decidendo di seguirlo. Si ritrovò davanti a un torrente, non sembrava profondo e l’acqua scorreva saltellando tra le pietre del fondo, facenti capolino sotto l’astro argenteo, che in quel punto tornava a risplendere nel pezzo di cielo a cui i rami lasciano un po’ di spazio.
«Plausibile.» disse tendendo le labbra rosee e carnose in un sorrisetto.
Le piaceva quell’angolino, tanto che si rilassò, abbassando le spalle e restando ad ammirare lo scenario fiabesco. Fece per sedersi, tuttavia un bagliore catturò i suoi occhi, bloccandone il movimento.
Una manciata di passi e giunse accanto a una grossa pietra, ai cui piedi scorse un pugnale dall’impugnatura brunita, cesellata ad arte, e una lama serpentinata su cui risaltava la lavorazione damascata dell’acciaio. Doveva essere stata proprio quella a riflettere un raggio di luna.
Si chinò, eppure esitò ad allungare la mano per toccarlo, scossa da un brivido.
Un leggero fruscio, seguito da uno schiocco secco, cancellò ogni remora e la spinse ad afferrare l’arma, voltandosi di scatto. In un batter di ciglia la sua espressione era mutata, divenuta decisa e agguerrita, le palpebre leggermente calate lasciavano brillare i suoi occhi verdi, simili a smeraldi incastonati in un viso di porcellana, incorniciato da riccioli corvini e ribelli.
Era il suo sogno e almeno lì riusciva a essere qualcosa di diverso, a sentirsi libera di agire d’istinto, cosa che nella vita reale le era impossibile, imbrigliata in un mondo a lei avulso, dove il male vestiva mille abiti diversi, alcuni assai costosi, ma non contemplava un essere come lei, un diavolo in un corpo di donna. Sogghignò scorgendo una figura scura avanzare verso di lei, ripensando al prete da cui la madre la portò da bambina, aveva appena otto anni, eppure quel brav’uomo non esitò a definirla un demonio senza speranze.
Lo era davvero: lei poteva vedere e sentire cosa nascondevano gli altri nel profondo della loro anima e reagiva di conseguenza, però non era possibile spiegarlo, lei non ne era in grado.
Dall’oscurità emerse un giovane dall’aspetto distinto e curato, che in un attimo scandagliò, libera dalla paura e dall’oppressione al petto che la bloccavano, dalle catene che si era imposta per non impazzire o finire in galera prima del tempo.
Capelli corti, nerissimi, pelle olivastra, lineamenti sottili e decisi, una camicia bianca e immacolata, pantaloni color ardesia dal taglio classico; solo due cose stonavano in quel quadro: i piedi scalzi e gli occhi da predatore, di cui a malapena poteva scorgere il colore, tanto erano scuri.
«Pensi di startene lì accucciata ancora per molto?» le domandò sprezzante.
La sua voce era graffiante, in linea con le stonature rilevate, proprio per questo accattivante, giacché lui non nascondeva veramente ciò che era.
«Ti crea problemi?»
«Nessuno, solo che così sarebbe fin troppo facile.» ribatté con una nota di malizia, fissandola.
«Non ci contare troppo.»
Lo sguardo del giovane sfilò sui seni di lei, messi in risalto dalla scollatura profonda, con un ghigno compiaciuto.
«Spero ti sia piaciuto il mio pensiero.»
«Per niente, non è il mio stile.»
«Non mi riferivo al vestito…»
No, non era riuscita a sentire il suo pensiero, ma non aveva dubbi su quale potesse essere, tuttavia la cosa la sorprese alquanto, essendo la prima volta che le accadeva.
«Ah già, non sono un libro aperto per te, vero?»
Lo fissò torva: una parte di lei era inquietata dall’anomalia che la vedeva coinvolta, l’altra ne era insolitamente attratta.
«Allora?» la esortò bruscamente alzando la voce, assumendo un tono dal sapore imperativo, impregnato di fermezza e decisione.
Non esitò oltre, non poté, fu come se il suo corpo si muovesse da solo, scattando agile e felino verso di lui, puntando il pugnale diritto al petto. Lo vide sorridere ed ebbe la conferma di aver fatto la mossa sbagliata, esattamente quella che lui voleva. Non riuscì neppure a scorgere il suo spostamento, ne subì direttamente la conseguenza, ritrovandoselo di fianco: percepì la pelle calda di lui sfiorarle l’avambraccio e subito dopo la presa ferrea e dolorosa sul polso, che concluse torcendole il braccio dietro la schiena.
«Il mio omaggio non era il vestito, bensì la mia arma preferita.» le sussurrò all’orecchio languidamente «Il vestito era un vezzo, quanto serviva per poterti accarezzare con la sua lama dopo averti domata, Alice.»
«Visto che non ho bisogno di presentazioni, almeno fai il cavaliere e dimmi chi sei.» replicò a denti stretti, con il dolore che si irradiava dal braccio al resto del corpo, stretto nella morsa dell’avversario.
«Ti sembro un cavaliere?»
Lei sogghignò all’ennesimo sussurro, rendendogli una testata direttamente sul naso. 
«E io ti sembro una principessina?» disse, riuscendo a voltarsi nel momento in cui lui allentò la presa.
Fu un attimo soltanto, sembrò riprendersi fin troppo rapidamente, senza lasciarle il polso e strattonandola di nuovo a sé. Alice sbatté contro il suo petto, ritrovandosi occhi negli occhi, accorgendosi solo ora del loro colore: non erano scuri come le era parso, erano di un rosso intenso e profondo, profilati di nero.
Un rivolo scarlatto gli colò dal naso e senza fare una piega, pulì il sangue dalle proprie labbra con la lingua. Quel gesto sembrò creare una sorta di sintonia tra loro, forse perché anche lei lo avrebbe fatto con la stessa noncuranza, magari con meno sensualità rispetto a lui. Feroce e sensuale, così le appariva, in una dicotomia meravigliosa e oscena, semplicemente perfetta.
«Castiwr.»
«Sarebbe il tuo nome?» gli domandò inarcando un sopracciglio.
«Non ti piace?»
«Un tantino strano.»
«Perché tutto questo ti sembra normale?» sottolineò lui ridacchiando.
«Beh, è solo uno stupido sogno.»
Le infilò la mano libera tra i ricci, lasciandoli scivolare tra le dita, per poi afferrarle la nuca e chiuderla in un bacio inaspettato; cercò di sottrarvisi, ma si abbandonò presto alla sua passione e a quella foga famelica che trasmetteva.
«Ne sei sicura?» bisbiglio lasciando che le loro labbra continuassero a sfiorarsi.
«Sì.»
Un bruciore intenso la scosse, costringendola a voltarsi. Non si era accorta di aver lasciato il pugnale, tuttavia una linea verticale e netta sul suo braccio andava tingendosi di rosso. Quella dannata lama era davvero affilata come poche, non l’aveva neppure sentita, eppure la punta appena arrossata non lasciava adito a dubbi.
«Io ti aspetterò, intanto decidi se è solo un sogno.» sentenziò.
Stavolta scorse in lui una nota di gentilezza accompagnata da un velo di malinconia, che non comprese, non ne ebbe il tempo. Improvvisamente tutto fu avvolto dalla nebbia e poi dal buio.
Spalancò gli occhi ansimante, un nodo le attanagliava la gola secca, in bocca il sapore di Castiwr era tremendamente reale, come quella sensazione bruciante e dolorosa al braccio. Allungò la mano e accese la luce, guardandosi intorno: era nella sua camera. Tutto era al suo posto, normale, tutto tranne lei. Tolse la maglia e si guardò il braccio: non sanguinava, ciononostante un segno nitido e rossastro si stagliava sulla pelle candida.
Le occorsero alcuni istanti, infine sorrise.
«Aspettami.»


Immagine by Luis Royo

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