Il prezzo del Cielo

Un cielo plumbeo riflette il grigio dell'asfalto, mentre la strada serpeggia nel ventre della città, dilaniata dagli uomini che la calpestano incuranti. Sul volto di alcuni passanti posso leggere il disappunto causato dal vento freddo, pungente, che li sferza impetuoso. Io sono solo un fruscio tra loro, un essere che aleggia furtivo osservandoli, disprezzandoli, in cerca della sua preda.
Fiuto le emozioni, le più dolci sono intrise di orrore, dolore, alcune piacevolmente oscene da solleticare la mia attenzione. Eppure è un'altro il profumo inebriante che mi guida verso il parco, tra alberi spogli e rami secchi, il cui contorcersi e agitarsi rievoca immagini di anime torturate.
Coraggiose mamme che per due chiacchiere conducono i loro bambini in uno spazio di illusoria sicurezza, piccole creature ancora innocenti che per salutarsi si scambiano un pudico bacio. Solo io l'ho colto con un brivido d'eccitazione, al pensiero di quando cresceranno e l'innocenza sarà un pallido ricordo; forse sarò con loro il giorno in cui le loro anime si spezzeranno.
Il richiamo si fa più intenso, non posso fermarmi a giocare ora: la devo trovare.
Mi insinuo nei vicoletti deserti: non è il periodo in cui si incontrano amanti nascosti, soltanto i relitti azzarderebbero tanto. Il sommesso boato d'un tuono accompagna i miei occhi all'agognata meta. Sì, anche lei potrebbe essere un relitto, eppure nella sua anima risplende ancora una luce calda, un fuoco che deve decidere della propria sorte.
Mi blocco, incantato dal ciondolare della sua testolina instabile, adornata da morbidi capelli simili a una cascata di cioccolato. I suoi sentimenti sono così intensi e travolgenti nella disperazione che cova in silenzio.
Oh sì, è lei che cercavo.
Mi avvicino fino a sfiorarle la guancia con un dito e quel muto grido sgorga dai suoi occhi in lacrime. Mi chino e ne raccolgo una con la lingua, nel meraviglioso contrasto tra sua pelle candida e il nero che mi appartiene. Un gusto salato che assaporo piano, mentre il cielo inizia a piangere per lei: una pioggia sottile che vorrebbe trafiggermi con una miriade di aghi.
Stupidi! Ormai è tardi, troppo tardi per privarmi del mio piacere: le ho già rubato un respiro.
La sua mente si apre, si dilata assieme alle sue pupille, che poi si contraggono d'improvviso scorgendo la mia figura. Il suo corpo diviene pietra inorridendo, eppure resta tremendamenta perfetta, anche quando l'assale la paura e, infine, il terrore. Mi siedo sui talloni e, nonostante ciò, continuo a sovrastarla in trepidante attesa. Non riesce a parlare, né a urlare, resta immobile a tremare, ma non abbassa lo sguardo, non cerca una fuga dal mio abisso.
«Avresti il coraggio di sfidarmi?» le domando, pur sapendo quanto la mia sola voce possa scuotere gli umani, atterrendoli.
La posso sentire, vorrebbe negare, ci prova ed è come se la sua testa si rifiutasse di assecondarla, impedendole di restituirmi un cenno falso. Le sorrido e cerco le sue labbra senza staccarle gli occhi di dosso, notando la sua attenzione spostarsi sulle mie corna, in un blando tentativo di allontanarmi.
«Avresti il coraggio di sfidarmi?» le ripeto in un sussurro e, finalmente, eccola sbocciare tra le mie mani.
«Sì, lasciami, maledetto!»
La sua voce riecheggia sospesa nel tempo, neppure la pioggia può toccarci e superare la mia barriera adesso. Lame di luce si irradiano dalla sua schiena, distendendosi eleganti e sinuose, togliendole il fiato in una fitta di dolore che la pervade, irradiandosi in tutto il suo piccolo corpo.
«Dormienti, siete gli Angeli che più amo.»
Non capisce ancora e io sto già godendo al punto di volerne condividere anche la sofferenza.
Afferro le ali, non completamente formatesi, e lei mi attraversa in un istante con tutto il suo essere, mentre la luce brucia rendendo rovente la presa per entrambi.
Il dolore assoluto è il prezzo dell'appartenersi e della dannazione.
Spalanca gli occhi sperimentando a sua volta quella sensazione, liberando la sua memoria, e le sue labbra si schiudono, colorandosi d'un rosso vermiglio.
«Fermati!» mi implorerebbe se sapesso farlo, ma è fatta di un'indomabile orgoglio.
Un unico movimento, misurato, ma per nulla repentino, così da strappare la luce dal suo corpo fin dalle ossa e, da lì, dalla sua anima. Sono le sue urla la mia punizione, capaci di farmi sanguinare. La mia linfa scura si riversa a terra, mescolandosi al suo sangue scarlatto in spirali, preludio di perdizione o morte.
Le sue ali si dissolvono senza più energia e lei si abbandona su di me.
«Maledetto...» sospira a fatica.
«Ho sofferto con te.»
«Lo so.» mi risponde sollevando il viso per cercare il mio «Maledetto chi ci ha condannato a tanto per poter essere liberi.»
Non ha perso la sua tagliente impudenza in questa vita.
«Io ero già libero.» le faccio notare.
È già affamata e io sono l'antipasto da cui deve partire.
«Ma non c'ero io.»
Dannata e sensuale nel suo trasformarsi avvinghiata a me, tuttavia dovrà guadagnarsi la ragione che in effetti ha: non abbiamo più fretta e, adesso, è il cielo a dover tremare.

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